mercoledì 9 ottobre 2013

...poor richard


Quella sera Richard  era uscito da lavoro alla stessa ora di sempre, nessun ritardo, niente straordinari, alcuna chiacchera in più scambiata appena fuori la porta dell’ufficio. Aveva fatto gli stessi 57 passi che lo dividevano dal bar , situato accanto alle scale che portavano alla metropolitana; aveva ordinato la solita birra, che si fermava a bere sempre prima di rincasare, servita in un bicchiere troppo piccolo per il suo volume e le ormai familiari gocce che ne erano traboccate gli avevano  sfiorato la destra in una carezza che era quotidianità. Aveva abbandonato gli spiccioli sul bancone ed era uscito inabissandosi nei corridoi della metropolitana; stessa linea , stesse 5 fermate, stessa quantità di gente, stesso odore acre di chiuso , stessi occhi stanchi di chi ha concluso un’altra giornata socialmente accettabile. Le porte della metro che si aprivano non avevano niente di diverso nello scivolare, lasciandolo libero di scendere; né tanto meno nel farlo aveva compiuto gesti diversi da quelli che compiva solitamente, nessun ultimo sguardo all’interno, né pensiero profondo riguardo il senso di prigionia che si avverte nell’impossibilità di sfuggire a quel sistema perfetto. Era uscito dalla metropolitana e aveva respirato a pieni polmoni l’aria fresca del tramonto, con la stessa intensità con cui ogni sera con passo svelto attraversava i corridoi soffocati dalla ripetitività delle azioni che giorno dopo giorno la gente compie. Quindi, si era diretto con un passo che non tradiva alcuna fretta verso il palazzo dove conviveva con la donna che reputava essere “sua” da qualche anno;aveva quel piccolo appartamento che aveva chiamato da molto più tempo “casa”, ma che aveva sentito come  tale solo da quando aveva incominciato a trovare ogni mattina il tubetto del dentifricio mal usato. Lei si ostinava a cercare di tirare fuori il dentrificio, facendo pressione a metà del tubetto, condannando la restante parte finale ad una morte lenta e senza scampo; essendo pressoché impossibile riuscire ad aiutare il dentrificio superstite, lasciato sul fondo del tubetto, ad uscire. Aveva provato inutilmente a convincerla di quanto fosse crudele la sorte a cui condannava il povero dentifricio, lei si limitava a scuotere il capo, trincerandosi in quella testardaggine solo sua nella sfumatura degli occhi, inorgogliti del loro primato. Il palazzo, dove vivevano, non aveva l’ascensore, così Richard come ogni sera maledì questa mancanza e con il solito leggero sbuffo, aveva incominciato a salire le scale. Loro erano sempre le stesse, non cambiavano mai, sembravano non voler cedere, a dispetto degli esterni del palazzo, alla loro età; non avevano più lo splendore del loro fiore degli anni , certo, ma rimanevano inappuntabili. Finite, le scale, aveva preso la chiave che portava sempre nella tasca anteriore destra dei pantaloni e l’aveva infilata nella toppa. Mentre, apriva era stato investito come sempre dal profumo della loro casa, che poco aveva a che fare con ciò che si mangiava per cena,ma aveva qualcosa di tipico. Quel qualcosa che ha a che fare con quanto ami il caffè,  con quante volte lasci la bottiglia vuota del brandy aperta, con quante volte ti si rompe il riscaldamento, con quante notti passi davanti al computer acceso cercando di finire del lavoro per cui sei in ritardo; ha a che fare anche con fino a che ora lei ti aspetta sveglia al letto,  con quanta aria buttate fuori parlando, con quando è stata l’ultima volta che avete litigato e quando l’ultima che vi siete addormentati sul divano guardando un film che lei odiava,ma che ha noleggiato al Blockbuster all’angolo, solo perché sapeva ti sarebbe piaciuto. Solo una dannatissima cosa,  sembrava essere diversa da sempre: non c’era lei; E sai da cosa te ne accorgi? Da quel peso che corre a premere sul petto, colmo dei dubbi taciuti ogni giorno dalla sicurezza di una quotidianità inscalfibile. Eppure in quel momento non c’era niente di normale e quotidiano nel suo non esserci. Le domande correvano subito ad affollarsi nelle vene dove il sangue non si azzardava neanche a muoversi, per raggiungere in fretta la sede del pensiero. No, non poteva essere, non poteva essere fuggita a quella torre perfetta , i cui mattoni erano solidi e indistrubbili nel loro esserlo ogni giorno, fatti di calce e routine.  Dolore, sofferenza, rancore, rabbia?che avrebbe dovuto fare Richard davanti alla scomparsa della sua vita? Perché quando la tua vita sparisce lasciandoti una lettera e un cassetto vuoto, c’è poca scelta nelle emozioni da provare. O meglio ce ne sono un migliaio di diverse figlie concepite nelle notti consumate dagli umori di un Amore che si appaga solo con il più massacrante dei dolori, lasciando sul letto disfatto i corpi dei due amanti sfiniti. Ma ci si accontenta sempre di quelle più facili da conquistare.
Eppure quando finisci di appagarti l’unico desiderio che hai è allontanarti da chi ti ha appagato, di stare solo, di goderti l’amaro in bocca mentre l’estasi si dilegua; almeno così credi sia sempre, almeno così credi sia la costante della funzione desiderio umano. E vivi: risolvi il tuo bel sistema di equazioni, la tua vita.
Ognuno col suo metodo, molti arrivano alla loro soluzione unica, altrettanti ad infinite, altri ancora a nessuna. Poi ci sono quelli da sistema irrisolto, quelli che provano e riprovano ma la loro equazione di vita ha una variabile in più che rende inutili tutti gli altri metodi. Fino a quando, la loro variabile in più assume le forme di una donna dagli occhi veri.  Quegli occhi che ti fanno dimenticare l’equazione, che si fanno sistema nella tua mente, che si fanno mare e terra, che si fanno volontà e scelta.
Richard l’aveva scelta, ma non vi immaginate fiere,cavalli o pesate. Richard aveva scelto di soffrire per lei, aveva scelto di lottare per lei, aveva scelto di morire per lei, aveva scelto di porre al centro della sua vita un essere che astraeva da sé stesso. Questo è l’Amore, quello di cui tutti hanno paura , quello che ti fa impazzire,quello che ha reso Medea capace di intendere e di volere, quello che ha devastato l’anima di Catullo, quello che ha portato Eloisa a sposare qualcuno di diverso dal suo maestro dei sentimenti del cuore Abelardo senza una lacrima pur di salvarlo. Quell’Amore che dovrebbe essere inteso come incapacità di intendere e di volere e dovrebbe essere abbastanza per far assolvere qualunque accusato si  sia macchiato di siffato crimine.
Perché tanto chi ama, paga ogni giorno, è condannato ogni giorno, muore ogni giorno, abbandonando tutto ciò che era prima per fondersi con un’emozione. Il suo boia è il tremito che scuote l’anima , la sua morte è la tempesta abbracciata e stretta come fosse il più desiderato dei ripari, mentre ti perdi in un dolore che vuoi che ti sussurri forte “sono tua” mentre la possiedi, che si avvinghi a te e ti porti via l’anima dal corpo , che si spenga nel respiro dei tuoi occhi. Scoprendo che lei dolore vive di te dolore, che mi baci e ti appropri della labbra che ti canteranno il nostro concepimento d’amore.
La porta si richiuse, dietro le spalle di Richard, ma non vi entrò un soffio di vento, come a ricordargli che per le leggi della fisica, se lasci una porta aperta prima o poi sbatterà, facendoti sobbalzare. Entrò lei, con un borsone appoggiato in spalla e l’aria un po’ stanca.
“ Ehi, ti avevo detto che si stava per rompere la lavatrice, sono dovuta andare in lavanderia!Ci ho perso il pomeriggio lì dentro”. Disse la ragazza lasciando scivolare il borsone a terra e andando verso la cucina.
Richard la guardò come la stesse vedendo per la prima volta nella sua vita,non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, avvertendo al petto una sensazione fra l’incredulo, il sollevato e la terribile consapevolezza di essere fragile.
Sì come quando si usa quell’espressione “ha visto la morte da vicino” , riferendoci a qualcuno che dopo determinate esperienze che lo hanno portato a contatto diretto con l’ultimo confine consentito, cambia radicalmente la sua visione delle cose, poiché scopre la caducità della vita umana.
Ecco ,Richard non aveva avuto bisogno di un’esperienza di contatto finale, aveva capito quanto dipendesse da qualcosa, quanto il suo stato di cose, la sua vita, la sua quotidianità, la sua sicurezza, la sua capacità di risolvere il suo sistema fosse ormai indissubilmente legato a quella donna dagli occhi verdi. Stette a guardarla scomparire dietro la porta della cucina imbambolato, come se per un attimo la sua fragilità si nascondesse nel timore di non poterla più guardare sparire nelle stanze di quell’appartamento.
Lei tornò indietro affacciandosi e sorridendo disse “Ehi sembra che tu abbia visto un fantasma… stai bene?”

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