lunedì 30 settembre 2013

Ne aveva sempre avuto l'impressione. Nasciamo soli, moriamo soli e, che lo accettiamo o meno, siamo soli per tutta la durata del viaggio - se lo ricorda ora, mentre aspetta.
Nell'attesa si dà alla città una fascino che non merita - lo sa che non c'è poesia nella luce itterica dei lampioni, eppure li guarda come gli amanti si meravigliano di fronte al tramonto. Ma non ci sono amanti qui, e il tramonto se l'è perso da un pezzo.
C'è gente che rincorre i pullman notturni. E i treni sembrano non arrivare mai.
Aspetta con lo zaino buttato a terra. Se l'era quasi dimenticato, come ci si sente, ce l'aveva quasi fatta - ma dev'essere come l'eroina, come quando lo rifai dopo un po' di tempo e ricordi come si stava bene in quei pochi secondi. Come ci si dimenticava di tutto. Ti accorgi che non volevi smettere veramente, prima, che non volevi cominciare veramente, poi. Non che ti freghi qualcosa di pentirti.
Se potesse dare un volto all'ultima notte, sarebbe quello. Soli, ad aspettare. Senza bisogno di ricordare la strada di casa, senza dover dare la buonanotte a nessuno. Il tempo smette di andare in linea retta, l'alba non si trova all'uscita dei pub. Una notte densa, tanto che la città non riesce ad essere assordante, una notte che resta lì davanti a te a farsi guardare. Silenziosa. Intatta. Ostinata. L'ultima notte di attesa. Vorresti ti entrasse dentro per poterle dare un limite, una dimensione. Ma niente. La città, e la sua ultima notte - e la città è solo insegne e spettri di edifici industriali che fino a ieri non esistevano. E' solo una città. Auto parcheggiate male, tassisti turchi. Gente dell'Est viaggia trasportando buste di plastica. Nemmeno la luna si sforza a specchiarsi sul canale. E' solo una città, di quelle che non importa se ci tornerai.
Accende l'ultima sigaretta, prima che l'autista polacco interrompa la sua attesa.
Se la sarebbe tenuta stretta, in un modo o nell'altro, quella solitudine.
C'è ancora gente che rincorre i pullman notturni.

domenica 22 settembre 2013

Prague


Nevicava, ma non c’era alcun fastidio a non avere nessun tipo di riparo sotto i fiocchi leggeri che non avevano poi questo grande interesse a infastidirti. Anzi, al massimo ti sussurravano parole veloci e non troppo impegnative. L’unico loro compito era di ricoprire i tetti, le strade, i vicoli solitari e i cappelli di chi li percorreva. Facendo silenzio. La neve a Praga fa silenzio.
Anja non porta il cappuccio calato sul capo o nessun altra cosa potesse ripararla , non che lo voglia intendiamoci. Non ci fa caso. Non c’è una ragione particolare, non è un animo poetico o romantico, di quelli che cercano risposte nel tempo . Semplicemente, non se ne curava. Si curava di poche cose , ma in maniera intensa, meticolosa quasi vitale.
La sua musica , le cartine dei metrò delle città in cui aveva giocato e quelle poche altre cose che possono attraversare la vita di una ragazza non piu’ bambina, ma non ancora donna, che si divide fra la sua casa e i pezzi di notte restanti dopo che la città non era abbastanza brava da trovarla.
Che Anja suoni il violino,studi Medicina o sia una mantenuta di una famiglia di spettri non credo interessi a me o a voi, forse neanche a lei. Non immaginatevi una persona fatta di braccia, gambe e testa, non lo era mai stata. Lei era la pioggia che si nascondeva per i vicoli, piu’ furba della neve ma priva della sua autorità. Era questa l’impressione che ti trasmetteva quando la vedevi seduta ad un tavolino del  kavàrna di uno dei tanti vicoli dell’Old Town poco lontano dall’orologio; niente di particolare in questo cafè rispetto agli altri, un paio di tavolini di legno, un proprietario che aveva dovuto imparare alla svelta l’inglese non appena la città aveva deciso di aprirsi al turismo, ma con negli occhi quello che leggi in tutti gli sguardi degli uomini dell’Est Europa. Uomini che in pochi anni hanno rivista restituita la loro possibilità di scelta, con tutto ciò che ne comporta.
Lei girava le cartine come il mondo rigira i bambini, che quando vanno tutti giu’ per terra si trovano già adulti. Si nascondeva in quel tabacco di qualità scadente,mischiandolo con labbra di tequilà invecchiato male su pelle che si è rimarginata troppe volte.  Si nascondeva da sé stessa, perché si sa l’acqua scivola e scompare perdendosi nello scolo di un tombino senza profondità che si è scelta accuratamente per i suoi giorni migliori.
Ti dava di pioggia perché li vedevi cadere i suoi pensieri come le gocce , uno dopo l’altra, con un volume troppo forte. Rompevano anche i tuoi di timpani quelle gocce.
 Ok e se la smetti di girare il drum, se la smetti di fare il filtro con la cartina del biglietto del tram, se smetti di alzare e svuotare quel bicchiere . Se smetti di estinguere le tue idee. Se smetti di dare alla caccia a te stesso. Che succede?
Ti prego riempirlo di calci , rompergli i denti , non servirà a togliergli la voce. Ha una voce del cazzo, ti entra dentro, ti tortura al centro dello stomaco, la senti lì in mezzo vicino al diaframma , non nella testa.
E’ peggio dei giudizi di tutti, è peggio di quel senso di delusione che leggi nel tono di voce di tutta quella gente che ha avuto piu’ palle di te. Perché parliamo di quello , Anja, di palle. Ne hai per alzare una mano, per tirare un pugno, per far correre piu’ forte le tue gambe, per non preoccuparti delle conseguenze, ma per te stessa, non hai neanche la dignità di uno specchio. Allora, vuoi tutti gli anestetici, qualsiasi cosa annebbi la visione, che abbassi il tuo udito, che faccia scendere tutto il veleno che ti hanno fatto ingoiare.
Anja vuole tutto, tutto ciò che avete per permetterle di dimenticare e non vedere. Perchè l’ hanno fottuta, le hanno dato una macchina ad alta cilindrata , ma hanno chiuso i pozzi di petrolio . E allora non serve ad un cazzo. Allora datele anche una sbarra di ferro, vuole vedere i vetri rompersi senza un urlo, vuole il motore bruciato senza neanche far brillare un fiammifero, vuole smontare la carrozzeria senza una lacrima.
Non ha mai sputato addosso a qualcuno. Non si da mai la possibilità di farlo. Ma ad alcuni mostra sempre troppo il fianco, e quelli lì non si risparmiano mai. Dice Anja di Avvisare quello a destra, si quello con i capelli scuri e l’aria giovane, che mangia con la fame dei giusti , che gli è rimasto un pezzo fra i denti. No, no, non che le serva, era solo per fare una gentilezza avvertendolo . Guardarsi allo specchio poi e trovare qualcosa di nuovo in mezzo ai nostri denti, ci lascia sempre così sconvolti che facciamo finta di niente  e passarci la nostra verità di nylon fa sanguinare troppo le gengive che non ci hanno ancora rotto.
Anja ha paura di chi non sopporta  la pioggia, perciò si traveste da neve.
Anja rivuole  indietro le sue bambole.                                                                                                 
Le sue bambole senza l’impegno che ti circonda mentre ci giochi; i bambini non se ne accorgono ma hanno un mondo che li guarda colmo di aspettative intorno a loro. E piu’ cresci e piu’prendi quella consapevolezza , che lentamente ti fa sfiorire l’aria nei polmoni. E lì nascono i vizi , che non sono aria, ma un qualcosa di molto simile che ti fa avere l’impressione che siano pieni. Pieni. Anja aveva bisogno di una manciata di emozioni per sentire il suo cuore anche fin troppo piccolo per la forza che le apriva in due il petto, i polmoni fin troppo saturi di ossigeno. Nei periodi migliori ne bastava una, per scatenarle quel senso di calore, che tutti nella vita abbiamo conosciuto almeno una volta. Una sola. Basta. Basta per sentire tutto per una volta coincidere nel puzzle irrisolto con cui conviviamo e di cui forziamo i pezzi per illuderci di poterlo dare noi un senso alle cose. E’ una questione di fortuna:c’è a chi basta una sola piccola insulsa emozione perché lo shot salga subito, l’alcool emotivo entri subito in circolo; e chi sta spendendo tutti i suoi soldi a quel bancone ma non funziona. E’ come se il sangue e le emozioni non si mischiassero, come tutta la nostra vita fosse acqua.
Insapore. Inodore. Incolore.
Anja era una che non reggeva bene i sentimenti, i legami, le emozioni, se ne andava subito al primo shot di calore che arrivava ben dritto al petto. Bastava poco. Il silenzio dell’alba, un bicchiere di vino con un libro scritto per bene, un viaggio in treno in cui si risvegliava fra nuovi colori. Bastava poco. Bastava poco. Poi si sa come funziona, se non bevi dell’alcool buono, ma di quello che spacciano a basso costo , cercandoti di illudere che alla fine sia identico a quello che costa caro, ti spacchi piano piano lo stomaco. Il sangue non si mischia piu’ con le emozioni, perchè non riesce a riconoscere quelle di qualità. Le rifiuta tutte a prescindere.
Il problema? Che Anja, come tutti, era un’alcolizzata di sentimenti




sabato 21 settembre 2013

«Tu potrai dire sicuramente che sono una persona difficile, immatura, che non so cosa sia la vita. Che la mia generazione non lo sa. E’ vero probabilmente non lo so, non lo sappiamo. Ma sai che c’è? Che è questo il problema. In compagnia di una sigaretta, seduti su scalini di città che non ci apparterranno mai, spendiamo le ultime ore di una serata, sperando nei suoi ultimi minuti. Sperando che quando le lancette dell’orologio raggiungeranno la mezzanotte, troveremo I nostri perchè mischiati con whiskey senza ghiaccio . Il perchè non riusciamo a rimanere in un posto, il perchè non riusciamo a non sbattere la porta e andarcene davanti ad un problema, il perchè siamo persi davanti ai vetri di un bicchiere rotto. Peccato contenesse il nostro sogno mischiato con vodka liscia. E allora passiamo la notte seduti in compagnia di stranieri come noi e di una bottiglia di whiskey, perchè I mali del mondo non sono il cancro, l’HIV, e tutte quelle stronzate di cui vi riempiono I giornali. Oggi si muore di noia e solitudine. E quando non c’è la noia, c’è quell’instancabile sensazione di essere persi in mezzo ad un nulla imposto da una società costruita sulla sabbia da formiche ceche. E quando crederai che hai già sentito il colpo di una pistola nei timpani, e già sai come la carne si divide davanti ad un proiettile, scoprirai che non sapevi proprio un cazzo. E che il dolore può scoprire sempre nuove forme per prenderti alla bocca dello stomaco e giocare con la tua carne. E lo sguardo di chi sta sparando, non lo conoscerai mai abbastanza. Sarà la sorpresa davanti alla freddezza di quello sguardo che ti butta a terra, di quel braccio teso per non sbagliare la mira. Ma ricorda di baciare quella mano, che stretta sarà sulla pistola. Il proiettile ti attraverserà con tutto un altro sapore. Chissà magari è la volta buona che non ti alzi più.»
L.

«Ma lo sai cosa? E' che la vita, nessuno può dirti cosa sia. E' che, il bello della vita, è il suo sterzare di colpo a una curva inaspettata, o farti lo sgambetto mentre trasporti una scatola con la scritta "fragile". Il suo sorriderti lasciva, un po' zoccola, e poi fregarti il portafogli. Noi della "nostra generazione" non sappiamo cosa sia la vita tanto quanto non lo sapevano i nostri genitori e i nostri nonni prima di loro. Forse non sapremo mai cosa vuol dire avere da mangiare solo farina di castagne e acqua mentre intorno a te esplode letteralmente l'odio delle Nazioni. Non sappiamo com'è crescere un figlio e non sappiamo com'è lavorare in fabbrica a quindici anni. E' che non abbiamo assolutamente bisogno di saperlo, perché la nostra vita non è così, e nessuno può venirti a dire "non sai cos'è la vita vera". Beh, notizia dell'ultim'ora: questa è la vita vera. E' solo completamente diversa, ma cristo, è meravigliosa. E non voglio istruzioni da seguire, perché non ce ne sono. Non voglio che qualcuno mi venga a dire che la vita è scuola, casa, lavoro, figli, un cane, l'assicurazione sanitaria, il mutuo da pagare, la tv via cavo - e se qualcuno venisse a dirmelo, voglio sentirmi libera di mandarlo affanculo. E non voglio neanche sperare che arrivi una qualche fine, e con lei le risposte. Non voglio guardare il fondo di un bicchiere e aspettare l'illuminazione, nonostante la certezza recondita e martellante che quell'illuminazione non arriverà mai da sola. E, per certe cose, non voglio neanche chiedermi perché. Perché non riusciamo a stare ferme, perché crolla tutto? Sai cosa ti dico? Chi se ne importa. Non riesco a stare ferma? Corro finché non sento i muscoli andare a fuoco. Voglio restare? Resto finché il mio spazio non diventerà di nuovo troppo piccolo e soffocante per volerci rimanere un secondo di più. Se le risposte non arriveranno mai non importa. Quanto peso ha, alla fine, sapere perché? Hai fatto quello che volevi fare, e quando non sapevi cosa fare, hai fatto qualcosa lo stesso. Magari è stato fantastico, magari ti mangi le mani ancora adesso, magari ti svuota completamente, magari ti toglie il fiato ogni volta che ci ripensi, magari era totalmente sbagliato. L'importante è non uscirne mai indenni, o indifferenti. Del resto, non so nemmeno cosa stiamo cercando o se ci sia qualcosa da cercare. Senso di appartenenza? Un posto nel mondo? Dio? Seduta sullo stesso gradino di una città sconosciuta che contemplo distrattamente dietro spirali sconnesse di fumo, so benissimo che è esattamente quello il mio posto. Qui, adesso. Magari non domani, ma domani non importa. E quel vuoto che senti mordere dentro, è il modo che ha il mondo di appartenerti. E in quanto a Dio, noi sappiamo benissimo che esiste, e non è per nulla come ce l'hanno raccontato. Noi l'abbiamo visto. Te lo ricordi? L'abbiamo incontrato negli appartamenti disordinati dei ventenni della working class, e abbiamo bevuto con lui nei pub di periferia. Era lì al tramonto sulla Galway Bay e nelle strade brulicanti di vita alle sei di mattina. Gli mancava una casa, mentre la strada lo chiamava. Ha passato notti intere a sentirci parlare, sature di intenzioni, e sogni, e rabbia... Lo ricordi, adesso? Dio siamo noi che non ci arrendiamo.
Oggi si muore di noia e di solitudine solo se si lascia che noia e solitudine ci corrodano, pezzo per pezzo. Centimetro per centimetro. Ma puoi anche non morire. Magari mi ritroverò davanti alla canna vuota di quella pistola. E sarà freddo, e farà male. Ma io voglio rialzarmi. E rialzarmi. E rialzarmi ancora. E non permettere che nessuno mi lasci a terra. Se cadrò, cadrò da sola. Fino ad allora, ognuno di noi avrà sempre una stronzissima mano da afferrare per rialzarsi. E se davvero ho capito qualcosa di tutto questo, credimi, la afferrerà.» G.