Quella sera Richard era uscito da lavoro alla stessa ora di
sempre, nessun ritardo, niente straordinari, alcuna chiacchera in più scambiata
appena fuori la porta dell’ufficio. Aveva fatto gli stessi 57 passi che lo
dividevano dal bar , situato accanto alle scale che portavano alla
metropolitana; aveva ordinato la solita birra, che si fermava a bere sempre
prima di rincasare, servita in un bicchiere troppo piccolo per il suo volume e
le ormai familiari gocce che ne erano traboccate gli avevano sfiorato la destra in una carezza che era
quotidianità. Aveva abbandonato gli spiccioli sul bancone ed era uscito
inabissandosi nei corridoi della metropolitana; stessa linea , stesse 5
fermate, stessa quantità di gente, stesso odore acre di chiuso , stessi occhi
stanchi di chi ha concluso un’altra giornata socialmente accettabile. Le porte
della metro che si aprivano non avevano niente di diverso nello scivolare,
lasciandolo libero di scendere; né tanto meno nel farlo aveva compiuto gesti
diversi da quelli che compiva solitamente, nessun ultimo sguardo all’interno,
né pensiero profondo riguardo il senso di prigionia che si avverte nell’impossibilità
di sfuggire a quel sistema perfetto. Era uscito dalla metropolitana e aveva
respirato a pieni polmoni l’aria fresca del tramonto, con la stessa intensità
con cui ogni sera con passo svelto attraversava i corridoi soffocati dalla
ripetitività delle azioni che giorno dopo giorno la gente compie. Quindi, si
era diretto con un passo che non tradiva alcuna fretta verso il palazzo dove
conviveva con la donna che reputava essere “sua” da qualche anno;aveva quel
piccolo appartamento che aveva chiamato da molto più tempo “casa”, ma che aveva
sentito come tale solo da quando aveva
incominciato a trovare ogni mattina il tubetto del dentifricio mal usato. Lei
si ostinava a cercare di tirare fuori il dentrificio, facendo pressione a metà
del tubetto, condannando la restante parte finale ad una morte lenta e senza
scampo; essendo pressoché impossibile riuscire ad aiutare il dentrificio
superstite, lasciato sul fondo del tubetto, ad uscire. Aveva provato
inutilmente a convincerla di quanto fosse crudele la sorte a cui condannava il
povero dentifricio, lei si limitava a scuotere il capo, trincerandosi in quella
testardaggine solo sua nella sfumatura degli occhi, inorgogliti del loro
primato. Il palazzo, dove vivevano, non aveva l’ascensore, così Richard come ogni
sera maledì questa mancanza e con il solito leggero sbuffo, aveva incominciato
a salire le scale. Loro erano sempre le stesse, non cambiavano mai, sembravano
non voler cedere, a dispetto degli esterni del palazzo, alla loro età; non
avevano più lo splendore del loro fiore degli anni , certo, ma rimanevano
inappuntabili. Finite, le scale, aveva preso la chiave che portava sempre nella
tasca anteriore destra dei pantaloni e l’aveva infilata nella toppa. Mentre,
apriva era stato investito come sempre dal profumo della loro casa, che poco
aveva a che fare con ciò che si mangiava per cena,ma aveva qualcosa di tipico.
Quel qualcosa che ha a che fare con quanto ami il caffè, con quante volte lasci la bottiglia vuota del
brandy aperta, con quante volte ti si rompe il riscaldamento, con quante notti
passi davanti al computer acceso cercando di finire del lavoro per cui sei in
ritardo; ha a che fare anche con fino a che ora lei ti aspetta sveglia al
letto, con quanta aria buttate fuori
parlando, con quando è stata l’ultima volta che avete litigato e quando
l’ultima che vi siete addormentati sul divano guardando un film che lei
odiava,ma che ha noleggiato al Blockbuster all’angolo, solo perché sapeva ti
sarebbe piaciuto. Solo una dannatissima cosa,
sembrava essere diversa da sempre: non c’era lei; E sai da cosa te ne
accorgi? Da quel peso che corre a premere sul petto, colmo dei dubbi taciuti
ogni giorno dalla sicurezza di una quotidianità inscalfibile. Eppure in quel
momento non c’era niente di normale e quotidiano nel suo non esserci. Le
domande correvano subito ad affollarsi nelle vene dove il sangue non si
azzardava neanche a muoversi, per raggiungere in fretta la sede del pensiero.
No, non poteva essere, non poteva essere fuggita a quella torre perfetta , i
cui mattoni erano solidi e indistrubbili nel loro esserlo ogni giorno, fatti di
calce e routine. Dolore, sofferenza,
rancore, rabbia?che avrebbe dovuto fare Richard davanti alla scomparsa della
sua vita? Perché quando la tua vita sparisce lasciandoti una lettera e un
cassetto vuoto, c’è poca scelta nelle emozioni da provare. O meglio ce ne sono
un migliaio di diverse figlie concepite nelle notti consumate dagli umori di un
Amore che si appaga solo con il più massacrante dei dolori, lasciando sul letto
disfatto i corpi dei due amanti sfiniti. Ma ci si accontenta sempre di quelle
più facili da conquistare.
Eppure quando finisci di appagarti l’unico desiderio che hai
è allontanarti da chi ti ha appagato, di stare solo, di goderti l’amaro in
bocca mentre l’estasi si dilegua; almeno così credi sia sempre, almeno così
credi sia la costante della funzione desiderio umano. E vivi: risolvi il tuo
bel sistema di equazioni, la tua vita.
Ognuno col suo metodo, molti arrivano alla loro soluzione
unica, altrettanti ad infinite, altri ancora a nessuna. Poi ci sono quelli da
sistema irrisolto, quelli che provano e riprovano ma la loro equazione di vita
ha una variabile in più che rende inutili tutti gli altri metodi. Fino a
quando, la loro variabile in più assume le forme di una donna dagli occhi
veri. Quegli occhi che ti fanno
dimenticare l’equazione, che si fanno sistema nella tua mente, che si fanno
mare e terra, che si fanno volontà e scelta.
Richard l’aveva scelta, ma non vi immaginate fiere,cavalli o
pesate. Richard aveva scelto di soffrire per lei, aveva scelto di lottare per
lei, aveva scelto di morire per lei, aveva scelto di porre al centro della sua
vita un essere che astraeva da sé stesso. Questo è l’Amore, quello di cui tutti
hanno paura , quello che ti fa impazzire,quello che ha reso Medea capace di
intendere e di volere, quello che ha devastato l’anima di Catullo, quello che
ha portato Eloisa a sposare qualcuno di diverso dal suo maestro dei sentimenti
del cuore Abelardo senza una lacrima pur di salvarlo. Quell’Amore che dovrebbe
essere inteso come incapacità di intendere e di volere e dovrebbe essere
abbastanza per far assolvere qualunque accusato si sia macchiato di siffato crimine.
Perché tanto chi ama, paga ogni giorno, è condannato ogni
giorno, muore ogni giorno, abbandonando tutto ciò che era prima per fondersi
con un’emozione. Il suo boia è il tremito che scuote l’anima , la sua morte è
la tempesta abbracciata e stretta come fosse il più desiderato dei ripari,
mentre ti perdi in un dolore che vuoi che ti sussurri forte “sono tua” mentre
la possiedi, che si avvinghi a te e ti porti via l’anima dal corpo , che si
spenga nel respiro dei tuoi occhi. Scoprendo che lei dolore vive di te dolore,
che mi baci e ti appropri della labbra che ti canteranno il nostro concepimento
d’amore.
La porta si richiuse, dietro le spalle di Richard, ma non vi
entrò un soffio di vento, come a ricordargli che per le leggi della fisica, se
lasci una porta aperta prima o poi sbatterà, facendoti sobbalzare. Entrò lei,
con un borsone appoggiato in spalla e l’aria un po’ stanca.
“ Ehi, ti avevo detto che si stava per rompere la lavatrice,
sono dovuta andare in lavanderia!Ci ho perso il pomeriggio lì dentro”. Disse la
ragazza lasciando scivolare il borsone a terra e andando verso la cucina.
Richard la guardò come la stesse vedendo per la prima volta
nella sua vita,non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, avvertendo al petto
una sensazione fra l’incredulo, il sollevato e la terribile consapevolezza di
essere fragile.
Sì come quando si usa quell’espressione “ha visto la morte
da vicino” , riferendoci a qualcuno che dopo determinate esperienze che lo
hanno portato a contatto diretto con l’ultimo confine consentito, cambia
radicalmente la sua visione delle cose, poiché scopre la caducità della vita
umana.
Ecco ,Richard non aveva avuto bisogno di un’esperienza di
contatto finale, aveva capito quanto dipendesse da qualcosa, quanto il suo
stato di cose, la sua vita, la sua quotidianità, la sua sicurezza, la sua
capacità di risolvere il suo sistema fosse ormai indissubilmente legato a
quella donna dagli occhi verdi. Stette a guardarla scomparire dietro la porta
della cucina imbambolato, come se per un attimo la sua fragilità si nascondesse
nel timore di non poterla più guardare sparire nelle stanze di quell’appartamento.
Lei tornò indietro affacciandosi e sorridendo disse “Ehi
sembra che tu abbia visto un fantasma… stai bene?”