Consumava le sue dita tamburellando su
quell bancone, mimando la danza che esse fanno su un piano. Non aveva mai
suonato il piano. Non ne aveva mai avuto la possibilità o meglio la voglia.
Perchè in fondo se sei una di quelle persone che vive della passione che ti
sfama, ti fa disseta, ti illumina lo sguardo al punto da poter dire con sicura
certezza che non sei piu cieco. Beh allora non c’è possibilità, tempo, impegno,
ostacolo che ti fermi se vuoi avere le tue dita danzare su un piano.
La prima volta che mi soffermai a guardarla
era in quell’età in cui la consapevolezza di aver già scritto capitoli
importanti della tua vita, ti porta a guardare il futuro con l’ansia di uno
scrittore che sa che i piu’ importanti sono li pronti nell’inchiostro della sua
penna, ma il terrore di non avere la mano abbastanza ferma da disegnarli, può
arrivare anche a consumarlo.
La guardavo con curiosità, mentre entrava
nelle classi come un gladiatore entra nell’arena. Senza scherzare, vi
immaginate dover spiegare a 30 teste piene di tutto e niente che nella vita può
decider di accendere la luce nella stanza o meno. Ti possono mangiare vivo con
la loro indifferenza. E sbattere contro mura fatte di fumo, fallendo è un male
ben peggiore di qualsiasi malattia blaterata dai dottori.
La paura del fallimento, oh quella ha fatto
milioni di vittime. Pittori, scrittori, filosofi, geologi, ballerini ..beh..non
sono mai nati. Non li abbiamo mai visti, ce li siamo persi in una strada
affollata da gente senza credo.
Non sono mai stata interessata alla marea
di parole vomitate da manuali privi di spirito e molti di voi sapranno che
quando sei così incredibilmente vicino alla fine di un obbligo senza scampo,
ormai ti siedi a far finta che tutto abbia un senso solo perchè l’agonia abbia
fine.
Eppure quell’ora lì l’ascoltavo. A dirla
tutta ve la posso confessare una cosa: mi interessava poco di ciò che
riguardava il vero motivo per cui era lì. No, ascoltavo il modo in cui cercava
di sbattermelo in faccia, cercando di capire il motivo che la portasse cosi
ostinatamente a scuoterci dal nostro torpore, che era cosi caldo.
Sembrava un pazzo che sotto la pioggia, ti
colpisce a forza pur di toglierti quel dannato ombrello a cui sei cosi
ostinatamente aggrappato. Solo per sentire per la prima volta sulla nostra
pelle, il gelido tocco di una goccia d’acqua.
Animava il suo sguardo di ciò che leggeva,
animava i suoi polmoni di ciò che scriveva, animava il suo cuore con ciò per
cui combatteva.
Ho guardato la neve scendere su un mondo di
ingiusti con lei, ho stordito I miei timpani con il silenzio dei sogni
interroti . Mi ha spaccato le mani pur di strapparmi quel dannato ombrello..e
ora..e ora beh sono sotto la pioggia che brucia I miei tagli e miei lividi, con
un libro stretto tra le mia dita barattato per un ombrello rotto.
E di tutti I posti che ho visto, di tutti i
corpi che si trascinavano per I vicoli delle città che ho percorso..finivo
sempre per fermarmi sotto la pioggia a riscaldarmi di storie e whiskey, che
scorreva in sorrisi di pochi altri mie vicini.
Che il vento si alzi allora e che la
pioggia ci bruci , perchè solo allora saremo davvero a casa.
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